Qualcuno ne avrà sentito parlare, altri non hanno minimamente idea di cosa sia, eppure quasi tutti l’avranno visto saltando di pagina in pagina (o di feed in feed) online.
Il native advertising è una tecnica di promozione a pagamento dei contenuti online, che può essere localizzata su un network editoriale, su un sito o un E-commerce, oppure sul feed di alcuni Social Network. Insomma, ovunque esista uno spazio utilizzabile a livello promozionale.
Ciò che però differenzia la pubblicità nativa dalle altre tecniche o canali, non è tanto il dove essa compaia, ma il come lo faccia: si tratta di contenuti sponsorizzati che si “mimetizzano” nell’ambiente in cui si trovano, col risultato di apparire visivamente e funzionalmente armonizzati – e quindi più credibili.
Ereditano infatti le funzioni dello spazio in cui sono ospitati: ad esempio, su LinkedIn possono apparire come post con cui interagire normalmente, e sono pertinenti rispetto agli interessi del lettore, poiché possono essere mostrati a uno specifico target, che soddisfi determinati requisiti.
Questo significa che risultano di valore per l’utente, senza interrompere la fruizione del contenuto (e sì, l’utente detesta essere interrotto da annunci ingombranti e fastidiosi).
Ma approfondiamo ancora un po’.
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Il Content è sempre il King
Fra gli addetti ai lavori del mondo digital, si sente spesso ripetere “Content is king”, ovvero “Il contenuto è il re”. Significa che vince sempre su tutto, e questo per un motivo ben preciso: l’utente ha sempre ragione ed è l’utente, con i suoi interessi e il suo profilo, a determinare il successo di qualsiasi iniziativa o attività online.
Questo significa che più il contenuto risulterà coerente, accattivante, interessante, utile per chi ne fruisce, più lo condividerà, ne parlerà, lo diffonderà. E questa è una sfida sempre più complessa in un mondo in cui l’attenzione media dell’utente è sempre in calo.
Le Aziende sono ormai consapevoli dell’importanza dei contenuti, che grazie alla loro natura consentono di:
- Durare nel tempo: un articolo, un e-book o una campagna di newsletter non svaniscono come accade per le tecniche di advertising più tradizionali. Restano lì a beneficio di letture future e possono anche influire positivamente sul posizionamento online.
- Essere ottimizzati: su un contenuto sufficientemente corposo è possibile intervenire con un’attività SEO, che potrà portare vantaggi anche nel lungo periodo. E questo non si può fare, ad esempio, con una campagna display, molto utile per un certo tipo di contenuto, ma destinata a svanire alla fine dell’investimento economico in advertising.
Ma un contenuto, per quanto ben scritto, da solo non basta: la sfida è renderlo visibile senza togliergli valore e appeal.
Come ottenere visibilità senza perdere valore?
Il giusto compromesso, quindi, sta nell’equilibrio fra contenuto di valore e formato sponsorizzabile. Qualcosa che sia ben inserito nel contesto che lo ospita, utile, attrattivo, mai interruttivo.
Il Native Advertising è la traduzione di tutto questo: tutto il valore di un contenuto, in formato sponsorizzabile. Ecco perché considerarlo in una strategia di web marketing e lead generation:
- Non penalizza mai il contenuto, anzi: prevede che questo sia posto al centro dell’attività, premiando così l’utente e le sue aspettative.
- È pertinente: grazie alla profilazione del target, i contenuti Native Advertising raggiungono utenti che – grazie ai metadati di navigazione – siano realmente in linea con quell’argomento.
- Si vede e non si vede: e questo è un grandissimo vantaggio. Viene inserito armoniosamente nel contesto, dunque non è disturbante, tutt’altro: il suo porsi senza interrompere l’esperienza di navigazione lo rende utile, efficace e credibile.
- Crea engagement, proprio perché porta l’utente ad interagire con esso senza essere invadente: è l’utente a scegliere consapevolmente di cliccare su di esso.
Le differenze con le altre tecniche di Google Ads
Il Native Advertising si colloca nel mondo dei contenuti sponsorizzati, ma ciascuna tipologia di campagna presenta dei caratteri distintivi:
- Rete di ricerca: l’annuncio si colloca in SERP, ovvero nella pagina di risultati di ricerca di Google, auspicabilmente nelle prime posizioni dedicate ai contenuti a pagamento. Può funzionare molto bene per la lead generation, ma prevede una diversa relazione con l’utente finale: il native advertising dialoga con lui quasi mimetizzandosi nel contesto, mentre le campagne in rete di ricerca prevedono un’azione ben precisa da parte sua, che si aspetterà risultati netti, pertinenti e ben delineati.
- Display: è la sponsorizzazione attraverso dei banner di dimensione standard, da collocare negli spazi messi a disposizione da Google nella propria rete display. Funziona per chi può comunicare a livello visuale, attirando l’attenzione dell’utente, che dovrà comunque scegliere di cliccare sul banner per interagire con un contenuto di taglio dichiaratamente promozionale.
- Video: si tratta di sponsorizzazioni in formato video che appaiono su YouTube. A seconda del formato scelto potranno scorrere prima, durante, dopo, a fianco del contenuto ricercato dall’utente, in SERP, oppure nella home page mobile di YouTube. Possono essere skippabili oppure no. Ovviamente sono efficaci quando il prodotto o il servizio da comunicare si prestano al formato video. Anche in questo caso, comunque, si delinea una relazione con l’utente in cui sia lui a interagire intenzionalmente con il video sponsorizzato, distogliendosi dall’intento di ricerca iniziale.
- Shopping: dopo aver costruito il proprio inventario su Google Merchant Center, è possibile mostrare il proprio prodotto all’utente che effettui una ricerca Google in linea con le caratteristiche del tuo prodotto. I prodotti che vengono sponsorizzati attraverso questa tipologia di campagna sono molto contestualizzati e pertinenti, dunque non prevedono che l’utente sia distolto dal proprio intento. Per sua natura, tuttavia, si presta a chi opera nel settore B2C.
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